L’indecifrabile essenza di Pietro Iemmello
Di Antonio Ionà

Correva l’anno 2008 quando vidi giocare dal vivo Pietro Iemmello per la prima volta.
La cornice era il campetto dell’Aldisio e la competizione, l’indimenticabile, quantomeno per la mia generazione, torneo del Football Four.
La porta della squadra di quel giovanissimo Pietro era difesa da Luca Scerbo – che di lì a qualche anno sarebbe diventato portiere goleador per i giallorossi, segnando uno storico rigore contro il Trapani in Coppa Italia – mentre in mezzo al campo danzava con lui Gennaro Fiorentino, coetaneo che, più volte, ho osservato sui nostri campi di periferia e che quel giorno, più di tanti altri, mi impressionò per la qualità che riusciva a dimostrare sul nudo cemento di via Iannelli. Avversari, la compagine formata dai fratelli Capicotto, da sempre fenomenali calcettisti, ed Emanuele Zurlo, lo stesso che si sarebbe consacrato nel tempo come pluricampione di beach soccer. Questi ultimi, tra l’altro, se la memoria non mi inganna, vinsero l’incontro: in caso contrario mi correggerà chi, quel giorno, era lì presente.
Quella dell’epoca era una città diversa, una Catanzaro viva e pulsante, completamente differente da quella che viviamo oggi, mentre le voci su Iemmello erano identiche, già a quell’epoca, a quelle odierne: le stigmate del fenomeno insistevano sin da quel tempo.
Sono passate tante stagioni da allora ed il nostro capitano dapprima è diventato “Re” a suon di gol in Puglia, riuscendo perfino ad approdare in Serie A, segnando finanche una doppietta a San Siro, per poi riscendere in cadetteria a smarrirsi un po’. Alla fine, finalmente aggiungerei, è tornato a casa per abbracciare il sogno di una tifoseria che ha rivisto in lui l’ultima spiaggia, l’ultima occasione, nella riproposizione infinita del mito dell’uomo della provvidenza che qui a Catanzaro – quantomeno calcisticamente parlando – ci ha regalato solo amarezze negli anni, riuscendo a consacrarsi come eroe cittadino, guidando la squadra alla storica promozione in serie B.
Alla fine dei conti sono passati 15 anni dalla prima volta che l’ho visto giocare ed ancora oggi, calcisticamente parlando, non ho ancora capito chi è davvero Pietro Iemmello.
Col suo andare caracollante, che mi ricorda lontanamente Riquelme, Iemmello non aderisce a nessun modello idealtipico del giocatore offensivo: non è un numero 9 e non è neppure un numero 10, eppure riesce ad essere entrambi, nello stesso tempo, senza esserlo: una contraddizione in termini che ci consegna un giocatore tanto atipico quanto unico nel panorama nazionale.
Pietro Iemmello assomiglia tremendamente alla sua città natale che, insistendo dal mare alla montagna, si mostra come un ibrido incompreso, ma assolutamente affascinante, non esente da critiche, ma impossibile da non amare.
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