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Non solo calcio: Jake Paul vs Mike Tyson

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Diciamolo: noi fan di Iron Mike c’eravamo un pò montati la testa. Chi come me ha passato alla moviola la carriera sportiva di Tyson, in particolar modo quella primissima parte avulsa dalle torbide vicende personali che hanno intossicato irrimediabilmente la straordinarietà dell’atleta, aveva in testa una sceneggiatura di ben altro livello.
Nell’immaginario collettivo, il povero Jake Paul pareva andare incontro ad un destino ormai segnato, manco l’avessero sbattuto di prepotenza nel labirinto di Dedalo alla mercè del Minotauro: come se la nomea del personaggio Tyson, da sola, fosse più che sufficiente ad incenerire di colpo ogni ipotetico avversario, reo di essere entrato nell’orbita di un pianeta con una forza di gravità tale da vanificarne ogni minima reazione.

Le cose sono andate ben diversamente. Oddio, non credo si possa essere lusinghieri nel giudicare la caratura di un pugile come Paul: lento, raffazzonato, poco fantasioso e incapace di prendere una qualche iniziativa, è lo stereotipo del pugile che, di norma, verrebbe dato in pasto ai quei rookie cui si vuol costruire una futura carriera. Insomma, niente più che “carne da guantone”, con la differenza, però, di avere a propria disposizione risorse tali (a livello economico e di immagine) per fantasticare su ben altri orizzonti professionistici.

Mike è un uomo di quasi sessant’anni, dal passato burrascoso, con una forma fisica invidiabile per un uomo di quell’età, ma sicuramente con quegli acciacchi tanto cari anche a noi poveri mortali, che abbiamo visto salire salire ring con espressione stranita, quasi come se l’avessero prelevato con la forza da una di quelle belle residenze per anziani in Florida per buttarlo nella bolgia.

Volessimo commentare un match che di un nonnulla rientra nel limite per essere considerato tale, potremmo dire che i primi due round filano quasi lisci per Tyson: il bersaglio lo trova pure, con conseguente estasi dei più ingenui tra il pubblico pronti a vederlo già in lizza per la cintura WBC, ma passati questi quattro minuti (si è combattuto su riprese da due), il più dell’impegno da parte sua è stato concentrarsi su come fare per tornare a casa in piedi sulle proprie gambe. Paul non fa da meno: vuoi che, a furia di sentirsi ripetere da mesi di come Mike lo avrebbero ammazzato ci si era un pò convinto anche lui, si limita ad arrivare alla fine dell’incontro quasi incredulo di come siano andate le cose, facendo quel minimo indispensabile che poi non è tanto lontano da quello che è il suo ipotetico massimale.

Una vittoria ai cartellini scontata per lo youtuber, e tanto amaro in bocca per tutti quelli che, da questo show mediatico organizzato ad arte, scioccamente si aspettavano dell’autentico pugilato, se non addirittura migliore di quello che, talvolta, ci viene propinato dagli attuali professionisti di quest’epoca.

Ma sarebbe un errore considerare Mike Tyson solo come il povero sconfitto di turno. Iron Mike ha avuto un’esistenza a dir poco rocambolesca, è un uomo che ha saputo dilapidare per sè quasi il doppio della fortuna che ha guadagnato, e parliamo di cifre che potrebbero sostentare l’economia di un piccolo stato per un decennio buono.

Come ama spesso ripetere “sono diventato ricco troppo presto, e saggio troppo tardi”.
E penso sia il caso di inquadrare questo match come un tentativo perfettamente ponderato e meravigliosamente riuscito di dare solidità al proprio fondo pensionistico, una volta per tutte, con quello che gli riesce meglio: essere un mito.

CREDIT FOTO: Netflix

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