Lo sport ha costituito, e costituisce, una componente importante della mia vita. Il calcio, ma anche il basket, occupano un posto privilegiato nelle mie giornate, e le vicende delle aquile giallorosse sono una priorità nei miei pensieri. Le prime incursioni allo stadio Militare risalgono al 1963: ricordo come un sogno Raise, Nardin, Micelli, Bagnoli, ma anche Zavaglio, fortemente criticato da mio padre, e Ghersetic, invece amato e ammirato, e poi le maglie bianche e blu a strisce orizzontali della Pro Patria e quelle grigie dell’Alessandria. Dalle brume della memoria risalgono alla luce le figure di Bigagnoli, Mecozzi, Maccacaro, e ancora Gasparini e Vanini, che diventerà il mio idolo. Dopo arriveranno gli anni di Bui, Vitali e Rossetti, che vivrò in maniera più consapevole e consolideranno, per sempre, il mio amore per i colori giallorossi.
Ho vissuto nella zona dello Stadio, quando ancora non era stato costruito l’Ospedale Civile e si giocava in mezzo alla strada, perché il pericolo delle auto era molto limitato. E in cui frequentare il campo sportivo era un’abitudine, data la vicinanza, per seguire gli allenamenti e per le partitelle del giovedì, senza contare che la domenica mattina spesso si andava a vedere la partita di pallacanestro della Stadium, che si giocava nel campo all’aperto posto all’interno dello stadio.
La passione per il Catanzaro si viveva in maniera diversa, forse più tranquilla, rispetto ai tempi attuali, ma era un’altra vita, più lenta, in cui la memoria contava quanto il presente e tutto non si dissolveva nello spazio di un attimo. Seduto sui gradini del Prato, sentivo rievocare calciatori e allenatori del passato e ascoltavo il racconto di tempi lontani, che sembravano ricomporsi davanti agli occhi, per quanto minuziose erano le descrizioni e immaginifiche le rappresentazioni degli avvenimenti.
Ho conosciuto così personaggi mai visti e mi sono emozionato davanti a quelli che ho avuto la fortuna di incontrare successivamente, come Masci, Bigagnoli o Raise, che avevano costruito l’epopea della Catanzarese.
Mio padre narrava con orgoglio le vicende del Catanzaro dei catanzaresi, quello delle origini, quello della sua infanzia, quello che lui vedeva giocare intrufolandosi di nascosto nello stadio, dopo varie peripezie e superando con incoscienza i più svariati pericoli: a sette, otto anni, con un padre emigrato in Africa per lavoro, i soldi per il biglietto erano una autentica chimera!
Le rimembranze paterne, precise, ma inserite in uno spazio temporale confuso, hanno trovato la giusta collocazione attraverso il libro di mio zio, Pasquale Ripepe, Catanzaro e il Catanzaro, e le opere meritorie, cartacee, di Macchione e Colao, e l’impegno ammirevole di alcuni appassionati del mondo giallorosso, che hanno fatto conoscere il passato della squadra, come Vincenzo Minicelli con l’associazione Catanzaro nel pallone, che ha realizzato una spettacolare raccolta di fotografie, oggetto, tra l’altro, di una recente, emozionante, mostra.
Qualche vago accenno mi veniva fatto da mio padre su una mitica stagione della fondazione del Catanzaro calcio e su una figura che aveva rivestito un ruolo centrale nella costruzione del calcio in città. Ritornava spesso nelle sue parole il nome di Turi Brescia, rievocato attraverso i ricordi degli amici più grandi, perché mai visto direttamente sul campo di gioco. E puntualmente venivano lodate le doti tecniche e la sapienza tattica e tramandata l’esperienza di un provino alla Juventus, quella del trio Combi, Rosetta, Calligaris, ma anche di Varglien, Cevenini, Munerati e Orsi. Altri tempi e soprattutto altro calcio, che non riusciva allora a soppiantare l’amore per la propria terra e l’idea di un lavoro stabile per la realizzazione di una vita familiare solida, in particolare per un calabrese proveniente da una piccola città di frontiera.
Molto meglio contribuire alla nascita del calcio nel luogo del cuore e accompagnare la squadra della città natale nella sua crescita.
Il provino di Turi Brescia alla Juventus risale a martedì 2 ottobre 1928, quando difendeva i colori giallorossi dell’Unione Sportiva Catanzarese, con cui avrebbe disputato tre campionati di terza divisione tra il 1926 e il 1929, prima di affiancare il mitico presidente Enrico Talamo nella fondazione dell’Unione Sportiva Fascista Catanzarese nel 1929, con cui disputerà i campionati dal 1929-30 al 1931-32, con allenatore Baroni prima e Kertesz dopo. Diventa, quindi, dirigente della società, nelle cui vesti compare in una significativa fotografia del 1933 al fianco della squadra degli allievi, che sarà l’ossatura della formazione che eviterà al calcio catanzarese di sparire dalla scena nazionale a seguito della crisi finanziaria del 1937 e che sarà uno dei motivi di orgoglio del suo impegno amorevole per la compagine dei tre colli.
Mio padre mi ha mostrato Turi Brescia quando ancora frequentavo le scuole elementari e per anni l’ho incrociato per strada, perché abitava vicino casa mia. Soltanto molti anni dopo ho scoperto che era il padre di Massimo Brescia, anche lui mitico rappresentante della catanzaresità, con il quale avevo condiviso i giochi in cortile negli anni Sessanta. Anche lui avrebbe calcato i campi di calcio come portiere prima e allenatore dopo; e che in diverse occasioni avrebbe difeso in qualche torneo la porta della squadra in cui avrebbe militato mio figlio, in una curva del destino in cui le strade si intersecano in un tempo che sembra infinito.
La percezione dell’importanza di Turi Brescia per il calcio catanzarese l’ho avuta chiara, però, solamente con la lettura del libro di Pasquale Ripepe, che lo definisce il primo vero uomo squadra, un autentico profeta della preistoria della realtà sportiva giallorossa, a cui ha contribuito con un attaccamento e una dedizione incrollabili, da giocatore, da dirigente e da tifoso modello. Con pochi, ma efficaci tocchi, ne tratteggia, inoltre, il profilo calcistico: “centrocampista di spiccata personalità. Incontrista irriducibile. Era fortissimo nel gioco di testa, la fronte coperta da un fazzoletto con i colori sociali. Onnipresente quando la lotta si faceva più dura, era un autentico trascinatore”.
Era la bandiera di una squadra formata da giovani amanti del pallone, studenti del Grimaldi, come Greco e Zaccone, o dell’Industriale, come Aragona e Giuliani, o di altre scuole, come Gallo e i fratelli Mario ed Ettore Rizzo, o ancora impiegati, Salvatore Miniaci, o commercianti, Gaetano Carlis, oltre a qualche militare di stanza a Catanzaro, come Varini e i fratelli Chiocchini. Questa rosa vincerà il campionato di terza divisione nella prima stagione 1929-1930 e farà approdare la Catanzarese nel torneo di prima divisione, dove, ormai con altri interpreti, otterrà la prima promozione in serie B nel 1933, dopo uno spareggio con il Siracusa, giocato al Vomero di Napoli: un preciso segno del destino, visto che nella stessa città si disputerà un altro spareggio, contro il Bari, per la prima promozione in serie A.
Oggi, nel momento in cui si sta vivendo un’autentica rinascita del calcio a Catanzaro e la città sembra avere riacquistato, con l’aiuto della squadra, l’orgoglio della propria identità, non è superfluo ricordare quei figli che hanno segnato la storia della comunità e hanno forgiato i valori che ancora adesso ci caratterizzano e che ci fanno ammirare in tutte le piazze d’Italia per la sportività, la correttezza, la passione e la gioia che calciatori, società e soprattutto tifoseria sono capaci di trasmettere.
Ricordiamoli, o scopriamoli se non li conosciamo, ma non dimentichiamoli, perché loro sono dentro di noi, anzi sono proprio noi!
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