Penso che non ci sia appassionato di calcio che non conosca Ariedo Braida, direttore sportivo e direttore generale del Milan targato Berlusconi, caratterizzato da quasi trent’anni di vittorie, in campo nazionale e internazionale, ma soprattutto da una filosofia del calcio che ha definito un modello di società e di rapporti sportivi all’insegna del successo, anche economico, ma anche del senso di condivisione e di appartenenza.
Chi, come me, è diversamente giovane ricorda il Braida calciatore, con la maglia del Varese del presidente Borghi, con Liedholm allenatore e Bettega compagno di squadra, con cui avrebbe condiviso, unitamente a Bonfanti del Catania, il primato di miglior marcatore della serie B nella stagione 1969-70.
Ma indubbiamente anche per me Braida è soprattutto uno dei protagonisti principali della splendida favola del Milan berlusconiano, che, ammettiamolo, ha fatto sentire tutti noi orgogliosi di essere italiani, perché ha mostrato un volto diverso del Paese, fatto di lavoro, impegno, intraprendenza e combattività, l’esatto contrario dello stereotipo consolidato dell’italianità.
Che emozione, quindi, allorché si è saputo della presenza di Braida nella puntata di lunedì scorso di RTC Catanzaro Sport. Diciamolo pure, un autentico colpo da maestro realizzato da Manuel Soluri con la complicità, benevola, di Franco Iacopino, che ha consentito un collegamento da Reggio Calabria per una conversazione con gli ospiti del programma settimanale condotto da Mario Mirabello.
Braida e Iacopino, autentici signori del calcio, si sono soffermati ad analizzare l’andamento della squadra giallorossa nel campionato in corso e, dopo aver elogiato la serietà della società e del Presidente Noto e il lavoro di Polito e Caserta, si sono dichiarati convinti dell’ingresso delle aquile nella zona play off, dove costituiranno certamente un pericolo per tutti gli avversari.
Sollecitato poi dalle domande dallo studio, Braida ha voluto chiarire che la scelta di un calciatore dipende sicuramente dalle qualità tecniche, ma soprattutto dalle potenzialità presenti in ognuno, e che ogni buon osservatore deve essere in grado di intuire, mentre la scelta dell’allenatore è legata in particolare alla capacità di costruzione di un gruppo armonico e affiatato.
Ha chiarito, però, come alla base di ogni successo nel mondo del calcio vi sia la passione, perché non bastano la competenza tecnica, la creatività o le conoscenze tattiche, ma è assolutamente necessario che il tutto sia sostenuto dalla passione, che costituisce il motore per comprendere ed apprezzare una realtà in cui il senso di umanità prevale sopra ogni altra cosa. Ciò consente, infatti, ad ognuno di riconoscere l’appartenenza ad una comunità e di condividerne valori, obiettivi e principi di vita.
Interrogato poi sulle differenze tra l’ambiente italiano e quello spagnolo, Braida ha rimarcato come sussistano delle divergenze strutturali di organizzazione, ma ha sottolineato anche come vi sia una fondamentale divergenza sul modo di intendere il calcio, che, per gli iberici, continua a rappresentare un gioco spettacolare, da amare per l’inventiva, i colpi di classe e la fantasia. Il pubblico spagnolo ama, cioè, la gioia del calcio e questo permette di dare spazio a chi sul campo è in grado di rompere gli schemi e di giocare affidandosi alla spontaneità e alla genialità. Da qui la valorizzazione dei più giovani e di un assetto delle squadre impostato sulla tecnica più che sulla tattica e sul divertimento del gioco piuttosto che sulla rigidità dei moduli.
Una lezione di calcio, e di vita, offerta con semplicità e insieme con grande profondità. Chapeau!
CREDIT FOTO: FIGC
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