Il primo scontro in assoluto tra Catanzaro e Brescia risale al campionato di serie B 1936-37, conclusosi con un pareggio a reti inviolate all’andata ed una vittoria per 1 a 0 delle rondinelle al ritorno. I problemi economici hanno reso questa stagione particolarmente travagliata, al punto che nel mese di aprile cinque calciatori, Staffiero, Zanni, Prandoni, Grandi e Isada abbandonano la squadra, a seguito del mancato pagamento degli stipendi.
Al loro posto, nelle ultime tre giornate, scendono in campo alcuni giocatori provenienti dalle fila delle giovanili, contro L’Aquila Miniaci, Nocita, Regalino e Zaccone, nelle due successive contro Modena e Cremonese Miniaci, Regalino, Giglio e Sacco.
Alcuni di questi calciatori erano già presenti nella rosa nella precedente annata, che aveva sancito la promozione in serie B, e costituiranno l’intelaiatura della squadra che affronterà i due successivi campionati della rinascita, quelli del 1937-38 e del 1938-39. Di questa rosa, a partire già dal 1935, faceva parte anche mio zio, Pasquale Ripepe, a cui si affiancherà anche il cugino Eugenio Ripepe.
“U moru”, come verrà etichettato per la carnagione bruna, ha sempre amato i suoi giallorossi, che ha accompagnato anche nella veste di direttore tecnico, allenatore e dirigente. L’affetto e l’attenzione per la squadra del cuore non lo hanno mai abbandonato, tanto da dedicare alcuni anni della sua vita alla ricostruzione storica delle vicende calcistiche cittadine, il cui frutto è rappresentato dallo splendido libro, corredato da un prezioso apparato fotografico, dedicato a Catanzaro e il Catanzaro.
La prossima partita con il Brescia mi dà l’opportunità di ricordarlo a distanza di dodici anni dalla scomparsa, quasi a impedire che la sua esistenza si possa disperdere nel buio del nulla. La sua presenza silenziosa nella mia famiglia è sempre stata importante, innanzitutto perché ha sempre costituito un punto di riferimento essenziale per mia madre, di cui riusciva a stemperare il carattere impetuoso, per usare un eufemismo, con i suoi consigli equilibrati e le sue perle di saggezza.
Inoltre, perché, forse anche per i suoi trascorsi sportivi, godeva del rispetto e della stima di mio padre, che lo aveva ammirato da ragazzo sul campo del Militare e ne aveva tramandato le gesta calcistiche a me, che non avevo avuto la fortuna di vederlo giocare.
Anche mio padre era di poche parole e di gesti molto misurati, ma il legame affettivo con mio zio mi è stato chiaro quando in ospedale, qualche giorno prima di morire, mi aveva raccontato con improvvisa serenità, e senza alcuna sofferenza, di avere sognato il cognato che lo invitava ad andare con lui senza preoccupazione perché insieme avrebbero incontrato la luce: per tutti noi è stato il segnale che era arrivata l’ora di ritornare a casa e di vivere uniti l’ultimo tratto di strada.
Per parte mia, rammento sempre con nostalgia i racconti dedicati agli allenatori che aveva conosciuto e ai loro metodi, ai tanti calciatori, Pallaoro tra tutti, e alle loro bizze, ma anche alle emozioni dei momenti precedenti le partite, alle gioie per le vittorie e alle delusioni per le sconfitte.
E non dimentico le partite viste insieme, con i suoi competenti commenti tecnici e le profonde osservazioni tattiche, ma soprattutto gli insegnamenti sull’importanza dei valori che stanno alla base dello sport e che potrebbero, e dovrebbero, orientare la nostra vita, e che, in fondo, avevano sempre regolato la sua.
Ho avuto modo di seguire il suo lavoro sulla storia giallorossa e ho dato il mio piccolo contributo con alcune fotografie che facevano parte di una raccolta che avevo iniziato quando frequentavo le scuole elementari: riapro il suo libro e rivedo la squadra del 1931-32, ritagliata male nella parte superiore, e quella del 1937-38, con un’ombra inusuale, dovuta ad una porzione di nastro adesivo che non ero riuscito a togliere.
Che gioia, quando l’ho visto arrivare a casa mia per regalarmi il libro appena stampato! Non erano da lui queste esternazioni affettive ed il suo gesto era una dimostrazione di sincera complicità, che continuo a portare nel cuore.
L’età gioca brutti scherzi, ma se consente di riportare alla luce uomini e cose di un tempo felice, allora vale la pena viverla. E continuare a coltivare i sentimenti più veri, quelli, cioè, che ci allontanano da un’epoca che tende sempre più a disumanizzarci.
CREDIT FOTO: US Catanzaro 1929
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